INCENDI
BOSCHIVI E FATTORI METEOROLOGICI IN REGIONE LIGURIA
Lo sviluppo e la propagazione
di un incendio boschivo è influenzato da tre classi di variabili interagenti: i
combustibili, la topografia del terreno e la massa d’aria.
(Countryman 1972).
Per combustibili si
intende qualunque tipo di vegetazione (viva o morta, aerea o superficiale o
sotterranea) quale fonte di energia per il fuoco: posizione geografica e clima
presiedono alla diversa distribuzione dei vegetali e quindi alla diversa
distribuzione dei combustibili.
La topografia comprende
l’inclinazione, l’altezza, l’esposizione del terreno e come questi elementi
risultano tra di loro configurati. La topografia determina sugli incendi
effetti diretti (le fiamme di un fuoco che brucia in pendenza sono più vicine
ai combustibili di fronte al fuoco stesso: questo consente un più rapido
riscaldamento dei combustibili stessi rispetto ad un analogo fuoco su terreno
pianeggiante) ed indiretti
(microclimi e
distribuzione dei vegetali).
Le componenti
meteorologiche come la temperatura, l’umidità relativa, la direzione e velocità
del vento, l’intensità e durata delle precipitazioni, la copertura del cielo,
la pressione ecc. costituiscono gli elementi che regolano la fenomenologia
relativa alla massa d’aria. Lo studio delle influenze e delle interazioni
specifiche tra le variabili citate e gli incendi boschivi, con particolare
attinenza al territorio ligure, fanno parte del programma SPIRL (Servizio
Previsione Incendi Boschivi della Regione Liguria) più avanti descritto e al
quale si rimanda per gli eventuali approfondimenti.
In questa sede, tuttavia,
la stretta connessione tra fattori meteorologici (ne prenderemo brevemente in
esame solo alcuni) ed incendi boschivi verrà affrontata da un punto di vista
generale - statistico, con l’intento di mettere in evidenza particolarità e
fissare utili elementi di valutazione.
Il Fattore
TEMPERATURA ARIA
La temperatura atmosferica
influenza direttamente la temperatura del combustibile. La facilità di
accensione, la quantità di calore richiesto per innalzare il combustibile alla
temperatura di accensione (320°C Burgan and Rothermel 1984) dipende
essenzialmente dalla temperatura iniziale del combustibile. Il più importante
effetto tuttavia della temperatura è quello indiretto sulla umidità relativa
dell'aria e sul contenuto d'acqua nel
combustibile morto (strato
vegetale in decomposizione al suolo).
Da un punto di vista
quantitativo, buona parte degli incendi in Liguria (sia nella loro globalità
sia per quelli "pericolosi" ossia superiori a 12 ha. ) si concentra
nel periodo invernale con temperature medie dell'aria certamente inferiori a
quelle estive.
In questo periodo
dell’anno al fenomeno concorrono principalmente altri fattori meteorologici
quali il vento e l’umidità dell’aria. Il ripetersi statistico di una ulteriore
concentrazione estiva degli incendi in Liguria trova certamente una concausa ,
non esclusiva né determinante, nella temperatura dell'aria che risulta
ovviamente più elevata che in inverno.
Maggiore correlazione
esiste invece tra temperatura dell'aria e gli incendi boschivi se analizziamo le
fasce orarie nelle quali vengono a determinarsi gli incendi con gli andamenti
medi della temperatura nell'arco giornaliero. Come è possibile osservare dai
grafici la maggior parte degli incendi si sviluppa in coincidenza con i
maggiori livelli giornalieri di temperatura media dell'aria.
Fig.
1.Distribuzione mensile degli incendi totali e di quelli con superficie
bruciata > di 12 ha. (a destra) nel periodo 1987-2002 in Liguria.
Fonte CFS Liguria, Elaborazione
CAAR.
Fig. 2.
Distribuzione degli incendi totali regionali nelle diverse fasce orarie e
andamento della temperatura media annuale. Periodo 1987-2002. Elaborazione CAAR
Su una scala temporale più
ampia è possibile notare un lento ma progressivo innalzamento medio della
temperatura anche in Liguria. Tale fenomeno, inquadrabile in un più ampio
riferimento di modificazione climatica globale in atto, pare non possa influire
nel breve ad una sostanziale alterazione del rapporto temperatura/incendi così
come oggi evidenziabile in Regione Liguria.
Fig. 3.
Andamento della temperatura (media della massime) nel periodo 1835-1985 nella
provincia di Genova (Fonte ECOZERO, Elaborazioni CAAR)
GENERALITÀ SUGLI
INCENDI BOSCHIVI INCENDIO DI PICCOLA DIMENSIONE
Apparentemente quanto indicato
a riguardo delle modalità di rilievo potrebbe aggravare l’impegno necessario
dei servizi addetti.
In passato in alcuni
servizi antincendio di Regioni italiane fu introdotto il concetto di principio
di incendio. Tale definizione si riferiva a una combustione con caratteristiche
tali da non potere essere considerata un incendio vero e proprio. Fu introdotta
per la constatazione che, per gli eventi assai piccoli, non essendo veri e
propri incendi, veniva evitato il rilievo delle informazioni previste dal
modello AIB/FN e AIB/FN ridotto.
Conseguiva a questo fatto
la perdita di informazioni preziose per la caratterizzazione pirologica del
territorio poiché la statistica non comprendeva le informazioni relative ad
eventi che se pur si erano mantenuti limitati avrebbero potuto in altre
condizioni, soprattutto meteorologiche, assumere proporzioni assai diverse.
Anche paesi esteri hanno
adottato il concetto del principio di incendio.
Tuttavia, anche se il
problema era generale, non tutte le organizzazioni antincendio avevano adottato
questi criteri, né quelle che li usavano avevano adottato la stessa
definizione. Essa solitamente si basava su superficie percorsa, il tipo di
copertura forestale interessata nonché sulla forza di intervento richiesta.
A seguito della L.
353/2000 “per incendio si intende un fuoco con suscettività di espandersi su
aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e
infrastrutture antropizzate poste all’interno delle predette aree, oppure su
terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree”.
Disponendo della
definizione suddetta non vi è più l’incertezza, che sussisteva precedentemente,
circa la necessità o meno di procedere al rilievo dei dati dopo l’evento nel
dubbio che si tratti o meno di incendio.
Tuttavia, permane il
problema della modalità di registrazione degli incendi di piccole dimensioni
per i quali si ritiene opportuno evitare di rilevare tutte le informazioni
dei modelli AIB/FN e AIB/FN ridotto.
Si definisce incendio di
piccole dimensioni ogni evento la cui superficie sia al di sotto della
superficie di ha 0,01 (100 m2).
Inoltre, si deve accertare
che l’evento per il quale si stanno per registrare i dati sia stato
caratterizzato da una combustione di limitate: vastità, diffusibilità, violenza
e difficoltà di estinzione.
Il limite minimo di
superficie percorsa, necessario per prendere in considerazione l’incendio di
piccola dimensione, è in funzione delle caratteristiche dell’evento e nel
rispetto della definizione dell’art. 2 della legge 353/2000.
CAUSE DI INCENDIO
Relativamente alle cause
di incendio nell’applicazione del presente piano si provvederà al rilievo
secondo le indicazioni che si sono adottate nel periodo di validità del piano
precedente. Verranno tuttavia introdotte le indicazioni e accorgimenti derivati
dalla indagine sulle cause realizzata dal CFS conclusa nel 2002.
Con riferimento alla serie
storica di incendi analizzata le cause sono state classificate secondo quanto
riportato nel grafico seguente.
DANNI
Nella pianificazione
precedente si indicavano soltanto i danni relativi al valore della massa
legnosa distrutta o le eventuali spese di ricostituzione. Si indicava anche il
danno medio per incendio nel periodo 1987-1996.
Si ritiene che molto
difficile ottenere in modo affidabile le suddette informazioni.
Anche per impostare il
presente piano antincendi si è indagato sulla stima dei danni. Per tale
finalità si è provveduto ad ordinare tutti i valori della serie storica
considerata. Si è evidenziato che per circa il 40% degli eventi non si
riportano danni. Inoltre, molti casi si registrano dati anomali dovuti a fatto
che procedimenti di stima adottai non erano stati preventivamente impostati con
metodologie uniformi e standardizzate.
Poiché i valori corrispondenti
ai danni sono collocati in anni diversi si è provveduto all’attualizzazione di
tutti i valori applicando gli appositi coefficienti ISTAT.
Più in particolare si sono
impiegati i coefficienti nella tabella seguente che rappresentano indici
generali di rivalutazione dei prezzi al consumo secondo l’ISTAT, da utilizzare
per tradurre i valori monetari degli anni indicati in valori del gennaio 2002.
Il totale del danno
calcolato comprende molti fattori che non sono valutabili con procedure oggettive,
ad esempio i danni ambientali , difesa idrogeologica , spese di intervento AIB.
Pertanto si è evitato di riportare nel piano le indicazioni sui danni.
Per il rilievo degli
eventi nel prossimo periodo di pianificazione si prevede di seguire la procedura
di valutazione adottata nel precedente periodo per uniformità con le
disposizioni nazionali. Tuttavia, si precisa che non pare opportuno fare
riferimento alle valutazioni dei danni per indirizzare sia gli obiettivi sia
gli interventi da realizzare.
STATISTICA
DESCRITTIVA REGIONALE
In questo capitolo
verranno illustrati i risultati delle elaborazioni di descrizione generale
finalizzate alla comprensione delle problematiche a livello di territorio
regionale.
Vengono di seguito
indicate le grandezze salienti che hanno interesse particolare per le
problematiche legate sia in generale alla pianificazione antincendi sia in
riferimento dall’art 12 comma 2 della legge 353/2000:
· superficie forestale ligure evidenziata
dall’inventario forestale: 374.400 ha (IFN 1985).
· superficie forestale ligure evidenziata
dalla carta forestale regionale: 354.126 ha (incluse le formazioni riparali).
· numero medio annuo di incendi nella serie
storica considerata (1987 - 2001): 874
· superficie media annua percorsa dal fuoco
per la serie storica considerata (1987 - 2001): 7.415,6 ha
· superficie media annua percorsa dal fuoco
nel quinquennio 1997-2001: 6.315,7 ha
La superficie media annua
percorsa dal fuoco nel 1997-2001 rapportata alla superficie boscata
territoriale (escluse le formazioni riparie) è pari al 1,82% Si riporta di
seguito una serie di elaborazioni di statistica descrittiva che permettono di
trarre un quadro generale dell’andamento dei fenomeni legati allo svolgimento
degli incendi in Regione Liguria. Quanto espresso evidenzia un’indicazione
volutamente generale. In tale modo deve essere affrontata la problematica in
generale per poi scendere nella caratterizzazione delle differenti singole aree
nella successiva fase di zonizzazione attuale.
Da queste analisi di
zonizzazione generale emergono andamenti che talvolta esprimono delineazioni
univoche. Altre volte possono solo essere interpretati. In tale caso, si 1 I
coefficienti sono stati estratti nel gennaio 2002 dalla pagina internet
all’indirizzo: http://www.istat.it/Anotizie/Acom/precon/indiceistat/coefficienti.html
sottolinea, non è corretto
esprimere deduzioni certe o adottare determinazioni. Ciò potrebbe indurre in
errori anche gravi di pianificazione. Pertanto ci si è limitati ad esprimere la
serie di elaborazioni descrittive con l’intenzione che siano lette solo come
tali e nel rispetto della loro oggettività.
Tutte le interpretazioni
pianificatorie verranno di conseguenza alla zonizzazione attuale.
LOTTA ATTIVA AGLI INCENDI BOSCHIVI
DEFINIZIONE DI BOSCO:
Il terreno coperto da
vegetazione forestale arborea e/o arbustiva, di origine naturale o artificiale,
in qualsiasi stadio di sviluppo nonché il terreno temporaneamente privo della
preesistente vegetazione forestale arborea e/o arbustiva per cause naturali o
per interventi dell’uomo (articolo 2 Legge Regionale 22/4/1999 n. 4).
Non sono da considerarsi
bosco:
a) gli appezzamenti di
terreno che, pur in possesso dei requisiti di cui sopra, hanno una superficie
inferiore a mezzo ettaro e distano da altri appezzamenti boscati almeno 50
metri misurati fra i margini più vicini;
b) gli appezzamenti di
terreno agricolo incolti da meno di quindici anni;
c) i prati e i pascoli arborati
il cui grado di copertura arborea non superi il 50 per cento della loro
superficie;
d) i castagneti da frutto
purchè razionalmente coltivati e aventi i requisiti indicati nel regolamento
delle prescrizioni di massima e di polizia forestale;
e) le colture arboree e
arbustive specializzate da frutto, da fiore, da fronda, da ornamento e da
legno;
f) i filari di piante, i
vivai, i giardini e i parchi urbani.
Quando sugli appezzamenti
di cui alla lettera b), incolti da oltre cinque anni, si insedia una
predominante vegetazione arborea e/o arbustiva, tali terreni vengono
assoggettati alla disciplina prevista per il bosco, fatta salva la possibilità
che sugli stessi venga ripresa l’attività agricola, previa autorizzazione e con
le modalità di cui al comma 5 dell’articolo 47 della l.r. 4/1999.
DEFINIZIONE DI
INCENDIO BOSCHIVO
Per incendio boschivo si
intende un fuoco con suscettività ad espandersi su aree boscate, cespugliate o
arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all’interno
delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi
a dette aree (articolo 2 Legge 21/11/2000 n. 353).
DEFINIZIONE
TIPOLOGICA DEGLI INCENDI
Ø INCENDIO DI BOSCO:
si intende quell’incendio che interessa le superfici di cui alla definizione
della legge 353/2000
Ø INCENDIO DI
INTERFACCIA CON L’URBANO: si intende quell’incendio di bosco in
prossimità di centri urbanizzati o industriali
CLASSIFICAZIONE DEI
TIPI DI INCENDIO DI BOSCO
Non è semplice
classificare tipologicamente un incendio in modo univoco in quanto esistono
situazioni intermedie che difficilmente possono essere ricondotte con sicurezza
ad un caso piuttosto che a un altro.
Inoltre è da considerare
che possono essere utilizzati diverse metodologie di classificazione: tipo di
bosco o di combustibile, dei fattori che favoriscono la propagazione,
dell’intensità del fuoco o della tipologia di comportamento del fronte di
fiamma. Quest’ultimo citato è sicuramente il metodo di classificazione più
seguito.
La classificazione seguita
da Calabri, il quale a sua volta si è basato su quella americana proposta da
Brown e Davis (1973) suddivide gli incendi in tre gruppi principali. Lo schema
generale di classificazione è il seguente:
Ø INCENDIO
SOTTERRANEO (Gruond fire):
In generale è un tipo di
incendio, che si sviluppa nel suolo, caratterizzato dall’assenza di fiamma viva
che avanza lentamente nella materia organica in decomposizione o lungo gli
apparati radicali della vegetazione.
L’intensità dei focolai
risulta minima e la modalità di propagazione è diversa a seconda del tipo di
combustibili presente nel suolo e del suo grado di porosità e di umidità:
· SUPERFICIALE: se il combustibile è
rappresentato dalla parte profonda della lettiera.
· PROFONDO: se il combustibile è rappresentato
da apparati radicali o strati torbosi.
La velocità di
propagazione di questi focolai è estremamente bassa, tanto che spesso il fuoco
per percorre pochi metri impiega diversi giorni.
Ø INCENDIO RADENTE
(Surface fire)
In questi incendi sono
interessati i combustibili al suolo, sia di superficie (che consistono
principalmente nella lettiera e nello strato erbaceo), sia di transizione tra
questi e quelli aerei (cespugli e arbusti più bassi che sono ancora a diretto
contatto con il terreno. E’ una tipologia estremamente frequente negli incendi
boschivi. A seconda del tipo di vegetazione che interessano e delle
caratteristiche comportamentali del fuoco, si individuano nelle seguenti tre
tipologie principali:
INCENDIO DI LETTIERA: il fronte di fiamma si propaga nella parte
superficiale e meno compatta della lettiera, rappresentata da foglie morte,
strobili, frammenti di corteccia, rami morti di piccole e medie dimensioni
giacenti sul suolo. In generale sono le foglie quelle che per prime si
accendono e per ciò risultano essere alla base della propagazione veloce. Anche
il legno di piccole dimensioni può contribuire ad una propagazione più rapida,
in quanto gli accumuli dei ramuli creano focolai violenti, dando origine a vortici
con sollevamento di materiale in combustione e così generare focolai secondari
avanzati.
L’altezza della fiamma è
generalmente contenuta entro il metro anche se ciò dipende dalle
caratteristiche intrinseche del combustibile, dalle condizioni di propagazione
e soprattutto dal carico d’incendio presente. Anche la larghezza del fronte è
in generale ridotta, ma ciò è comunque variabile in quanto in relazione alla
velocità di avanzamento del fuoco. In effetti con lettiere asfittiche o molto
compatte il fuoco risulta poco
violento, mentre negli
accumuli creati dal vento e dove scarsa è la compattezza della lettiera, la
lunghezza della fiamma può superare i due metri e l’intensità è incrementata.
La velocità di
propagazione dei fronti radenti di lettiera è in genere contenuta ma in
situazioni di forte vento e in popolamenti di latifoglie nel periodo invernale,
o con pendenza accentuata, si possono riscontrare valori superiori (20-30
m/min).
L’avanzamento è abbastanza
regolare lungo tutto il fronte (tipico il caso dei cedui di Castagno). Le
interruzioni del combustibile possono tuttavia spezzare la continuità del
fronte con generazione di lingue ed isole irregolari.
INCENDIO DI STRATO
ERBACEO: il fuoco si propaga nello
strato erbaceo con combustione parziale o totale delle parti epigee delle
specie erbacee presenti, caratterizzati da un brevissimo tempo di
preriscaldamento e quindi combustibili rapidi per eccellenza. Ciò è da
ascrivere, come per gli incendi di lettiera ad un elevato rapporto
superficie/volume, tipico degli strati erbacei. In genere, comunque, presentano
una velocità di propagazione più veloce rispetto ai fronti di lettiera. In
condizioni di media
pendenza, velocità del
vento e umidità, la velocità si aggira intorno ai 5-10 m/min.
Quando si considerano
combustibili erbacei è molto importante il loro stadio vegetativo che determina
il contenuto di acqua e quindi la potenzialità di combustione. Come regola
generale, si può affermare che tanto maggiore è il tenore idrico delle piante
erbacee, tanto minore sarà l’intensità del fronte.
La lunghezza della fiamma
si aggira in media tra uno e due metri, anche se in casi di carichi di incendi
elevati e in condizioni di disidratazione eccessiva, si possono raggiungere
lunghezze di 3-4 fino 9 metri (Autori Americani ed Australiani)
INCENDIO DI SOTTOBOSCO
ARBUSTIVO, MACCHIA E CESPUGLIATO: il
fuoco si propaga tra i cespugli che compongono lo strato arbustivo interessando
la loro parte fogliare ed i rami di minore diametro. Gli arbusti si possono
trovare in un differente stato vegetativo ed in base a questo, possono essere
più o meno predisposti a bruciare. In generale questi incendi, sull’arco alpino
si presentano nel periodo invernale,
quando i cespugliati
(roveti, rosai, pruneti) sono in riposo vegetativo e mantengono ancora parte
del loro fogliame secco ed appassito e le specie sempreverdi ( ad esempio Juniperus
spp.) risultano più disidratate e quindi più predisposte a bruciare.
Situazioni simili si verificano in estate quando il tasso di idratazione, a
causa del forte deficit idrico, scende al disotto dei valori di guardia. In
genere la lunghezza della fiamma non
supera il doppio
dell’altezza dello stato di combustione. L’intensità non supera quella dei
fronti radenti di lettiera. Per i fronti di sottobosco arbustivo sono
importanti le potenzialità di evoluzione in fronte di chioma. Le
caratteristiche del combustibile rappresentato dagli arbusti xerotermici della
macchia, ricchi di oli essenziali (esempio estratti di Salvia mellifera, 19,1%
e Rosmarinus officinalis, 18,4%) hanno un potere
calorico pari a più del
doppio rispetto a quello della cellulosa, e quindi sviluppano fronti di fiamma
ad intensità molto elevata.
La macchia si presenta,
sotto differenti aspetti: bassa macchia (tipo gariga), formata da cespugli
bassi inferiori a 1,5-2 metri, più o meno continui; alta macchia,
macchiaforesta, nella quale l’altezza dei vegetali raggiunge anche i 5-6 metri
e più e notevole è la commistione con specie arboree più o meno sviluppate. Nel
caso di incendio di alta macchia generalmente si ha l’evoluzione in incendio di
chioma. La velocità di
propagazione può
raggiungere in media 70 m/min e fiamme di 12 m.
Ø INCENDIO DI CHIOMA:
Il fuoco interessa le
chiome delle specie arboree, sia singolarmente che gruppi di alberi contemporaneamente.
La propagazione avviene direttamente da un albero all’altro in base alle
modalità di avanzamento del fronte se ne distinguono tre tipi. Tra i fattori
condizionanti l’evoluzione in chioma del fuoco sono fondamentali il contenuto
di sostanze ad elevato potere calorico, come le resine e gli oli essenziali,
nonché il contenuto in acqua della parte fogliare dei combustibili aerei e di
superficie.
INCENDIO PASSIVO O
DIPENDENTE dipende dall’avanzamento
del fronte del fuoco. Il fuoco nelle chiome dipende dall’avanzamento del fronte
radente, sia per ciò che riguarda la sua genesi sia per la sua stessa
propagazione. In genere si manifesta con reazioni esplosive isolate (torcing),
limitate a singoli individui arborei o a piccoli gruppi di alberi. E’ tipico di
popolamenti di resinose radi, siti in zone pianeggianti, nei fronti
che avanzano in
contropendenza. Le altezze della fiamma libera sono in genere limitate entro i
10 m sopra la cima degli alberi. I moti convettivi che si sviluppano dal fuoco
di superficie riescono a preriscaldare sufficientemente fino ad accendere le
chiome.
INCENDIO ATTIVO: è idealmente collocabile tra il fuoco di chioma
passivo e quello indipendente. Come nell’incendio passivo si ha un notevole parallelismo
tra il fronte radente e quello nelle chiome, ma non una necessaria dipendenza
di quest’ultimo da quello di superficie. Mentre nell’incendio passivo la
propagazione della combustione nelle chiome dipende totalmente dal fronte
radente, nel fuoco attivo l'energia necessaria
per la propagazione tra i
combustibili fogliari è fornita in buona parte dalle chiome, ma ciò non è del
tutto sufficiente per una sua propagazione indipendente e necessita ancora del
fronte di superficie. Esiste quindi un sinergismo tra le fiamme al suolo, che
forniscono la frazione di energia mancante, e quelle in chioma che grazie alla
loro emanazione termica contribuiscono a preriscaldare anche i combustibili di
superficie,
incrementando così
l’intensità e la velocità del fronte radente. L’altezza delle fiamme è
notevole, aggirandosi in genere entro i 20 m. le velocità di propagazione
variano tra i 10 e i 27 m/min.
INCENDIO INDIPENDENTE: il fuoco si sviluppa da chioma a chioma, rimanendo
svincolato totalmente dal fronte radente. Il fuoco radente viene superato da
quello di chioma che preriscaldando i combustibili di superficie, genera pseudo
fronti di fiamma o focolai avanzati. E’ in questi casi che in zone anche
discretamente avanzate rispetto alla testa dell’incendio, si possono avere
liberazioni di gas volatili dai combustibili e la conseguente accensione quasi
esplosiva delle chiome.
E’ un fenomeno instabile
bilanciato che può arrestarsi non appena le condizioni di propagazione che lo
sostengono vengono a mancare. Tra queste la più tipica è la presenza di vento
forte.
E’ il più violento e
pericoloso per gli addetti antincendio operanti sul sinistro. La caratteristica
che differenzia questo tipo di fuoco rispetto agli altri tipi di fuoco di
chioma sono le velocità molto elevate. In pratica, la condizione che genera in
primis questi violentissimi incendi è il vento forte. Questo operando una
maggiore inclinazione della fiamma, aumenta anche il flusso del calore di
convezione nelle chiome, accelera il
preriscaldamento e la conseguente
accensione.
FASI
EVOLUTIVE DELL’INCENDIO
Ø FASE INIZIALE:
Accensione incontrollata, si ha una accelerazione contenuta (initial build-up)
Si identifica con
l’accensione incontrollata e le prime fasi del principio d’incendio. La bassa intensità
del fronte, pur automantenendo la fiamma, non è ancora in grado di fornire una
sufficiente energia per il preriscaldamento di una grande quantità di
combustibile e pertanto l’accelerazione risulta contenuta.
La velocità evolutiva è
molto variabile e dipende da molti fattori che influiscono sulla fiamma stessa,
in funzione soprattutto delle caratteristiche del combustibile.
Tale fase è più veloce
nelle zone aperte a vegetazione erbacea, piuttosto che sotto la copertura di
quelle boscate. Pochi sono gli esempi di incendi con tale fase molto celere mentre al contrario molti sono quelli con una lunga durata.
Molti principi di incendio vengono infatti bloccati in tale fase evolutiva,
spesso anche con necessità di esigue forze d’intervento.
Ø FASE
DI TRANSIZIONE: aumento delle dimensioni delle fiamme e
accelerazione elevata (transition stage).
L’intensità
del fronte è decisamente incrementata e si individuano un aumento della
larghezza del fronte di fiamma, nonché un’emanazione termica sufficiente ad un
rapido preriscaldamento del combustibile antistante, con l’inclinazione della
fiamma ancora protesa verso la zona incombusta. In questa fase inoltre iniziano
a verificarsi moti convettivi e a rinforzare le correnti verso l’incendio a
livello del suolo.
Ø FASE
FINALE: formazione di colonne convettive (incendio indipendente dai
fenomeni esterni)
Nella fase
finale l’intensità del focolaio è ormai giunta ai vertici della propria
possibilità evolutiva, dato che il fuoco e il microclima connesso all’incendio
hanno acquistato una propria individualità ed interdipendenza. Caratteristici
di questa fase sono alcuni comportamenti del fuoco evidenziabili in formazione
di colonna convettiva organizzata, dotata di una propria individualità ed
associata al verificarsi di fenomeni di vortici (spotting). Spesso l’incendio
in questi casi assume un comportamento proprio, per certi versi indipendente da
fattori esterni che in condizioni normali influenzano l’evolversi delle fiamme.
In tale fase,
le forze d’intervento sovente non sono in grado di fronteggiare l’avanzamento
del fuoco In tali condizioni il fuoco mantiene costantemente l’iniziativa,
percorrendo in poche ore estensioni anche di migliaia di ettari e causando
danni di estrema gravità, data la violenza del fronte avanzante
Ø FASE
DI DECADIMENTO: fase di decelerazione delle fiamme. Può essere considerata inversa rispetto
a quelle sopra descritte. L’intensità del fronte decresce in relazione alla
diminuzione di influenza dei fattori meteorologici, topografici o alla variazione
del carico d’incendio. Tale fase può essere sia graduale che
improvvisa, ma
in qualsiasi caso porta ad una regressione dell’incendio da fenomeno
tridimensionale a fenomeno a due dimensioni e soprattutto a fasi di
propagazione del fronte a minore intensità, per cui la lotta al fuoco risulta
decisamente più facile. Esempi di tale fase sono facilmente riscontrabili
durante la tarda serata e nelle ore notturne, oppure con la cessazione di
periodi a forte ventosità e con variazioni della direzione del vento. In
funzione dei fattori topografici tale fase si verifica nel momento in cui il
fronte raggiunge la cresta o lo spartiacque quindi è costretto a proseguire il
suo avanzamento in contropendenza. Altro caso caratteristico è quello in cui le
fiamme, incontrando zone non boscate, popolate da specie vegetali meno
infiammabili o con differente stratificazione
o disposizione orizzontale del combustibile, subiscono drastiche
riduzioni sia nei loro
parametri morfologici che di propagazione.
TECNICHE
DI SPEGNIMENTO
Affinché l’azione di
spegnimento sia efficace, economica e tempestiva è importante prevedere il
comportamento dell’incendio, ossia la sua intensità, lo sviluppo del fuoco
nello spazio e nel tempo.
Base fondamentale è la
conoscenza del territorio: ciò permette la lotta attiva attraverso
l’avvistamento e lo spegnimento.
La tecnica di spegnimento
si basa sul principio di rompere almeno uno dei lati del "triangolo del
fuoco" mediante:
- eliminazione del
combustibile;
- eliminazione dell’aria;
- raffreddamento della
combustione.
Per effettuare lo
spegnimento di un fuoco si può procedere impostando un attacco di tipo diretto
o indiretto.
Ø ATTACCO DIRETTO
Attacco diretto terrestre
con:
· Uso di soffiatori
· Uso di flabelli
· Uso di rastro
· Uso di piccozze, zappe, ecc.
· Uso di acqua o altro estinguente
Attacco diretto aereo con:
· Acqua
· Schiume
· Ritardanti
Ø ATTACCO INDIRETTO
1. Costruzione di linea
tagliafuoco
2. Controfuoco (su
autorizzazione CFS)
3. Spargimento di
ritardante
ATTACCO DIRETTO
Attacco diretto
terrestre
Consiste nell’estinguere
direttamente il fronte di fiamma e ridurre al minimo l’area bruciata.
Gli operatori sono però
esposti al calore e al fumo e per tale motivo sono necessarie particolari
condizioni. L’attacco di tipo diretto può infatti essere attuato se
l’inclinazione del terreno è limitata, l’intensità lineare risulta bassa, la
velocità di avanzamento ridotta, l’altezza della fiamma non presenti
particolari picchi e il fronte di combustione non sia molto esteso.
Le tecniche che si possono
adottare nell’attacco diretto si possono schematicamente riassumere nelle
seguenti:
1. Tecnica di attacco
dalla testa. L’attacco diretto inizia dalla testa, procedendo in senso opposto
a quello di avanzamento del fronte di fiamma, spostandosi verso i fianchi.
2. Tecnica di attacco dai
fianchi.
3. Tecnica di attacco
dalla coda, seguendo l’avanzamento del fuoco.
I vari attrezzi vengono
utilizzati in misura diversa a seconda della diversità dei fronti di fiamma e
nelle diverse condizioni topografiche e vegetazionali.
· Uso del soffiatore
Con incendio radente, se
la lettiera del bosco di latifoglie non è ancora compattata, si usa con
successo il soffiatore che, con la propulsione di un piccolo motore a scoppio,
emana un getto violento d’aria con cui si ripulisce una striscia nella quale il
fuoco rallenta o si ferma se molto debole. Se l’incendio è di intensità molto
bassa il getto d’aria può infatti essere utilizzato per estinguere direttamente
le fiamme.
· Uso del flabello
Con incendio radente, se
la lettiera risulta compatta o anche su erbe basse o ancora sul sottobosco ci
si avvale con successo del flabello battifuoco, realizzato con strisce di
tessuto, preferibilmente ignifugo, fissate ad un manico. Questo attrezzo viene utilizzato
battendo per compattare il combustibile che sta bruciando.
· Uso del rastro
Sulla vegetazione
costituita da cespugli bassi e radi si può usare il rastro, una specie di
rastrello dotato di denti triangolari . Con tale attrezzo si possono frantumare
cespugli e tagliare i piccoli cespugli, permettendo un migliore lavoro agli
operatori che subentrano nella seconda fase, utilizzando gli attrezzi sopra
descritti (soffiatori e flabello).
· Uso di piccozze, zappe, zappacette e
macchine per movimento di terra
Gli incendi sotterranei si
fermano effettuando trincee sufficientemente profonde in modo da arrivare allo
strato minerale, quindi inconbustibile, utilizzando mezzi manuali quali
picconi, zappe, zappaccette, e macchine per movimento di terra. In genere
queste ultime sono difficilmente utilizzabili a causa delle condizioni
orografiche del territorio ligure.
· Con irrorazione di acqua
Viene effettuato mediante
linee di manichette di diametro vario, munite di lance irroratrici che
normalmente partono da autobotti; di questi mezzi antincendio di cui vi è
un’ampia gamma di modelli. I più pesanti sono le autobotti con capacità fino a
10.000 l di acqua, e possono essere dotate di quattro ruote motrici. Sono
disponibili anche autobotti leggere Allestimenti scarrabili che permettono
l’adattamento operativo alle
situazioni diverse.
Affiancano tutte queste
operazioni le pompe spalleggiate, manuali o a motore, con le quali si possono
affrontare incendi di maggiore intensità, lanciando acqua il più possibile nebulizzata
per sfruttarne la funzione raffreddante. In questo modo si abbassano le fiamme
e si permette agli operatori, che agiscono con mezzi manuali, di lavorare più
agevolmente.
Tutte queste attrezzature
possono essere o no utilizzate contestualmente ai mezzi aerei.
Se il territorio non è
ancora attrezzato, altra soluzione è quella di utilizzare vasche mobili
(smontabili), la cui alimentazione avviene da qualunque presa acqua con portata
di qualche litro al secondo.
Attacco diretto
aereo
I mezzi aerei (velivolo ad
ala mobile e velivolo ad ala fissa) vengono frequentemente impiegati per
l’estinzione con attacco diretto utilizzando diverse tecniche in rapporto al
tipo di velivolo, orografia, ventosità, presenza di ostacoli per il volo a bassa
quota ecc..
Mezzi aerei ad ala
fissa.
Il mezzo aereo ad ala
fissa maggiormente utilizzato per le attività di antincendio in Regione Liguria
è il Canadair CL 415.
Questo aeromobile ha nella
fusoliera due serbatoi di 2673 litri ciascuno, con un portellone nella parte
inferiore. il riempimento può avvenire sia a terra che su una superficie di
acqua con una operazione detta in termine tecnico “flottaggio” o “scooping”
(caricamento dinamico su specchio d’acqua). In questa fase della durata di
circa 10 secondi, apposite
sonde (una per serbatoio) vengono abbassate e convogliano l’acqua all’interno
del serbatoio dell’aereo che viaggia a circa 120 km/ora. Il flottaggio può
avvenire su tutte le superfici d’acqua che abbiano almeno 1500 m di lunghezza,
senza onde: se il vento è a prora lo spazio può essere ridotto a 800 – 900 m.
Il lancio viene effettuato ad una velocità di circa 180 km/ora e ad una altezza
di circa 30 m dalle
chiome degli alberi. In
tali condizioni si lancia circa 1 litro/mq. I serbatoi possono essere vuotati
contemporaneamente o in tempi successivi. Nel primo caso l’area interessata è
di circa 80m x 20m, mentre nel secondo 140m x 12m. L’impiego dei Canadair deve
essere limitato alle zone entro 25 km dagli specchi di acqua poiché altrimenti
la cadenza di lancio sarebbe insufficiente.
Mezzi aerei ad ala
mobile
Le attività che
l’elicottero può eseguire durante un incendio sono molteplici e di seguito
vengo riportate:
· ricognizione per meglio individuare le
caratteristiche dell’incendio e quindi le tecniche di attacco più idonee;
· trasporto di squadre e di attrezzature, in
quei luoghi raggiungibili solo dopo lunghi tragitti pedonali;
· estinzione diretta, impiegando attrezzature.
Usualmente l’attrezzatura
utilizzata per il trasporto d’acqua è una benna di varia capacità o un
serbatoio ventrale Il fattore limitante nell’uso degli elicotteri è la
possibilità di rifornimento. L’acqua infatti deve essere vicino al luogo delle
operazioni di spegnimento. Per assicurare quindi una continuità del lavoro è necessaria
una dislocazione adeguata dei rifornimenti idrici da prevedere anche in sede di
pianificazione.
I lanci devono avvenire
con una frequenza non inferiore a 15 lanci all’ora L’uso della schiuma è utile
sia per l’impiego terrestre che aereo. Talvolta si usano ritardanti anche
nell’attacco diretto.
La quantità di acqua
teoricamente necessaria è elevata: negli incendi boschivi le schiume servono
per compensare la carenza di acqua. Le schiume infatti sono bolle di gas (aria)
che, permanendo sul combustibile, si oppongono alla combustione stessa. La
schiuma può essere utilizzata lanciandola direttamente sulle fiamme oppure, più
frequentemente, in attacco indiretto, realizzando delle barriere dove il fuoco
non è ancora arrivato, tenendo presente che esalta la funzione “soffocante”
dell’acqua,
mantenendo quella
“raffreddante”. L’applicazione si esegue soprattutto in quei luoghi dove sono
previsti fronti di fiamma intensi e il rifornimento idrico è difficile.
Il tipo di schiuma
utilizzata in A.I.B. è quella cosiddetta “meccanica”, meno costosa e più
facilmente ottenibile, impiegando particolari lance con una pressione di alcune
atmosfere.
La percentuale di
concentrato da aggiungere all’acqua varia dal 3 al 6%.
Le schiume ottenute con prodotti
proteinici (derivati da proteine animali) sono definite “a bassa espansione”,
mentre quelle “ad alta espansione” sono ottenute con formulati sintetici e
miscele di tensioattivi. A causa dell’effetto di deriva del vento è bene non
utilizzare prodotti ad elevata espansione, ma è comunque importante tenere in
dovuta considerazione la viscosità del prodotto.
Il tempo impiegato dalle
bolle di aria a rompersi e a rilasciare il liquido viene definito come “vita
della schiuma”: l’azione soffocante, quindi, diminuisce progressivamente nel
tempo. Per l’attacco di tipo indiretto è necessario che questo valore sia
elevato. La vita o drenaggio della schiuma dipende oltre che dalle
caratteristiche del prodotto anche dalle condizioni ambientali, come la
secchezza dell’aria e il vento, quindi le stesse condizioni atmosferiche che
incentivano il propagarsi della fiamma sono le responsabili
di una minore stabilità
della schiuma.
Le schiume possono essere
classificate in funzione della loro capacità di rilasciare l’acqua: schiume
secche, che rilasciano lentamente l’acqua e schiume bagnate, che rilasciano più
velocemente l’acqua.
Per l’attacco diretto si
deve preferire la schiuma bagnata, essendo importante privilegiare la copertura
di tutto il combustibile e non il tempo di drenaggio. Ciò vale soprattutto per
gli incendi su lettiera compatta o che rischiano di diventare sotterranei.
Nell’attacco indiretto si prediligono invece le schiume secche da cospargere su
una superficie della larghezza di circa 2,5 volte l’altezza prevista di fiamma,
ed interessando
le chiome dei cespugli
presenti nel sottobosco.
ATTACCO INDIRETTO
Quando l’attacco diretto
non è possibile, si può eseguire quello indiretto realizzando, lungo l’incendio,
una fascia di sicurezza priva di combustibile che impedisce l’avanzamento del
fuoco. L’attacco indiretto viene utilizzato quando l’emanazione termica è così
elevata da impedire di lavorare nelle strette vicinanze del fronte di fiamma.
Anche l’accidentalità del terreno o la velocità di avanzamento del fronte
consigliano di optare per questa forma di attacco che consiste nel realizzare
condizioni di estinzione più facili o di impedire la propagazione prima che il
fuoco si avvicini.
Costruzione di linea
tagliafuoco
Le modalità esecutive sono
diverse in funzione delle condizioni orografiche e del comportamento del fuoco.
Importante, a livello
operativo, risulta la localizzazione della fascia di controllo. Tendenzialmente
per la realizzazione della fascia si individua un’area in cui la massa di
combustibile risulta minima se non nulla, in modo da impedire l’avanzamento del
fuoco e permette l’attacco diretto al fronte di fiamma con più facilità: si
fissa quindi il punto di inizio della fascia ad una strada o ad una barriera
naturale (corso d’acqua, crinale) in modo da ridurre la possibilità che venga
aggirata dall’incendio.
La larghezza della fascia
dovrà essere proporzionata al fronte di fiamma e approfondita fino a
raggiungere il terreno minerale.
Le tecniche per la
realizzazione delle fasce tagliafuoco sono molte. Le fasce possono essere
eseguite con mezzi meccanici, tipo apripista, o escavatori o manualmente: In
quest’ultimo caso si può operare mediante l’avanzamento a tratti o in continuo:
· Avanzamento a tratti. Nell’avanzamento a
tratti, tutti gli operatori eliminano il combustibile , ognuno lavorando su un
tratto di 10-20 metri. Tale procedimento può essere eseguito se la biomassa è
limitata.
· Avanzamento continuo. Nell’avanzamento
continuo ogni operatore esegue un lavoro specifico da realizzare con un
determinato attrezzo (motosega, decespugliatore, zappe, roncole, rastrelli,
pale ecc.). Questa tecnica si utilizza se le biomasse da asportare sono in
quantità elevata. Il rendimento è massimo se gli operatori sono in grado di
utilizzare le varie attrezzature con possibilità di effettuare turnazioni ai
vari attrezzi.
Il Controfuoco
Nell’attacco indiretto il
controfuoco è una delle tecniche più importanti e più efficaci per lo
spegnimento di un incendio.
Poiché è una tecnica molto
complessa deve essere attuata solo da operatori specializzati. Questa tecnica
per combattere il fuoco consiste nel bruciare deliberatamente la vegetazione
davanti all’incendio in modo da esaurire preventivamente il combustibile ed
arrestare il processo di combustione dei un fronte di incendio avanzante.
Si procede ad opportuna
distanza, nella zona che verrebbe presto percorsa, creando un fronte di fiamma
che elimina, bruciandolo, il tutto il combustibile compreso tra il fronte
d’incendio avanzante e una fascia tagliafuoco. Il controfuoco ha intensità
limitata ed avanza verso l’incendio anche per effetto del movimento di aria
fredda, radente al terreno, richiamata dalla colonna di convezione ascendente.
Il fronte di fiamma deve
procedere verso l’incendio
generalmente contro vento partendo da una linea di sicurezza che può essere
naturale (un corso d’acqua, una strada ecc.) oppure artificialmente aperta
nella vegetazione.
La larghezza della fascia
da bruciare preventivamente tra la linea di difesa ed il fuoco principale
dipende:
a) dalla velocità di
avanzamento e dall’intensità dell’incendio;
b) dalla densità della
vegetazione;
c) dalla distribuzione
della vegetazione;
d) dal tipo di
vegetazione;
e) dal numero di uomini a
disposizione.
Non è indispensabile che
il controfuoco consumi totalmente il combustibile e blocchi completamente
l’incendio, basta che ne riduca sensibilmente l’intensità e ne renda più facile
lo spegnimento con attacco diretto.
In generale risulta
particolarmente efficace appiccare il controfuoco di notte e nelle prime ore
del mattino quando è presente una maggiore umidità relativa e la combustione è
meno intensa. Se il vento è forte il controfuoco diventa pericoloso. Quando la
linea di arresto è artificiale il controfuoco si appicca dopo che essa è stata
aperta.
I modi di eseguire il
controfuoco sono i seguenti:
1) appiccare il fuoco dal
bordo interno della linea di arresto (più sicuro per il personale);
2) accensione secondo una linea
parallela davanti al fronte delle fiamme (per gli incendi di chioma);
3) accendere strisce
perpendicolari alla linea di arresto.
Oltre che in
corrispondenza del fronte (cioè la parte del margine dell’incendio a maggior
velocità di diffusione) il controfuoco può essere fatto in corrispondenza dei
"fianchi" o della "coda".
Spargimento di
ritardanti
Nella lotta contro il
fuoco possono essere usati composti chimici che inibiscono la combustione. La
funzione dei ritardanti è quella di diminuire l’intensità dell’incendio
abbassando l’altezza delle fiamme I ritardanti adatti in ambiente forestale
possono essere individuati in due gruppi: a breve termine e a lungo termine.
I ritardanti a breve
termine possono migliorare la funzione raffreddante dell’acqua che sottrae
calore attraverso l’evaporazione oppure con funzione soffocante isolando il
combustibile dall’atmosfera, sottraendo ossigeno. Tendenzialmente per
trattenere più acqua sulla vegetazione si cerca di aumentare la sua tensione
superficiale utilizzando tensioattivi o ancora meglio viscosanti e gelificanti
(carbossilmetilcellulosa e
idroetilcellulosa). I
ritardanti offrono la massima utilità se adoperati dai mezzi aerei.
I ritardanti a lungo
termine inibiscono la combustione indipendentemente dall’acqua che serve per
veicolarli. Si sommeranno quindi le azioni dell’acqua e del composto chimico
nell’estinzione della fiamma. Vengono definiti lungo termine in quanto
protraggono la loro funzione anche quando l’acqua è evaporata in quanto hanno
funzione indipendente da questa. Il ritardante costituisce delle barriere sul
vegetale attraverso le quali
l’incendio non è in grado
di diffondersi. Nelle operazioni a terra sono più utilizzati i ritardanti a
lungo termine sia in attacco diretto che indiretto cioè ad una certa distanza
dal fuoco.
I ritardanti a lungo
termine sono quasi tutti sostanze a base di fosfato di ammonio e talvolta
associato al solfato di ammonio. In agricoltura sono utilizzati come concimi:
non sussistono preoccupazioni sulla loro tossicità per la vegetazione. il loro
impiego è comunque abbastanza costoso in quanto tali sostanze devono essere
utilizzate ad una concentrazione di circa 10-15% nella miscela.
Fonte testi, dati ed
immagini: Regione Liguria – Assessorato alle Politiche per L’Agricoltura e
l’Entroterra – Servizio Protezione Civile